PROLOGO
Centro
Ospedaliero dello S.H.I.EL.D. Ore 8 del mattino. Ora della Costa
Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno. Nick Fury si
avvicina ad un medico in piedi vicino ad un lettino.
-Come sta dottore?-
-È difficile dare una risposta, Colonnello. Fisicamente, ha solo ferite
non molto gravi, da cui guarirà in breve tempo, ma psicologicamente, beh è
tutto un altro discorso.-
-Lo immagino, dottore- ribatte Nick –Io c’ero quando l’abbiamo
trovata.-
Con gli occhi della
mente, il Direttore dello S.H.I.E.L.D. rivede il momento in cui, a capo di
una forza d’intervento, è entrato nel Quartier Generale dell’Agenzia, ormai
invaso dai demoni. È stata una battaglia dura, considerato anche che
parecchi dei suoi uomini sono caduti vittime di quello strano incantesimo
che ha fatto venire a galla il loro lato più oscuro. Nick stesso si è
sorpreso, in seguito, di essere stato capace di resistere. Forse, ha
pensato, è perché lui non ha, ormai, alcun lato oscuro da reprimere? Il
pensiero continua a terrorizzarlo. Liberato il palazzo dai demoni, l’hanno
trovata in un angolo, rannicchiata in posizione fetale. Della sua uniforme
rimanevano solo pochi brandelli di stoffa, la sua schiena era coperta di
lacerazioni su cui il sangue si era ormai seccato e, quando l’avevano
sollevata, erano rimasti inorriditi dalla quantità di sangue intorno alla
zona pelvica. Non avevano avuto bisogno di conferme mediche, che erano,
comunque, arrivate poco dopo. Era stata stuprata selvaggiamente più e più
volte, con una violenza notevole. Opera dei demoni, senza dubbio. Le
lacerazioni vaginali erano impressionanti, ma sarebbero guarite abbastanza
rapidamente, le ferite dell’anima, però, sono ben altra cosa e non si
rimargineranno facilmente. Mentre lei giace sdraiata, coperta dalle bianche
lenzuola, con gli occhi puntati verso il soffitto, senza realmente vedere o
sentire nulla di ciò che la circonda, l’anima di Sharon Carter continua a
gridare.
Ospedale
Navale di Bethesda, Maryland. Ore 9 del mattino. Ora della Costa
Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno. Il Capitano
dei Marines Elizabeth Mary Mace misura a grandi passi il pavimento
dell’anticamera. Non riesce a credere a quanto sta succedendo: suo padre
ricoverato nella stanza di fronte a lei per una ferita d’arma da fuoco
procuratagli proprio da sua madre, che, in questo momento è ricoverata,
sotto sedativi, nel reparto psichiatrico di quello stesso ospedale. Per
fortuna la ferita non è mortale, ma resta il fatto che uno dei suoi
genitori è stato ferito dall’altro a cui, improvvisamente, ha dato di volta
il cervello. Come se non bastasse, sua sorella Roberta è dispersa da due
giorni e suo fratello gioca a fare l’eroe a Manhattan. A completare il
quadro, il suo processo è andato in fumo quando gli unici due imputati
erano fuggiti dall’aula del Tribunale Federale, aiutati dalla misteriosa
Baronessa.[3]
Lizzie ricordava di
averli visti saltare sull’aeronave della Baronessa, (A dir la verità, la
Tigre Volante, il suo cosiddetto assistito, portava con in spalla una
svenuta Dallas Riordan, la presunta Incappucciata, che non sembrava proprio
entusiasta della fuga ed era stata stordita dalla sua stessa aspirante
liberatrice.) proprio mentre era cominciata l’invasione dei demoni. Aveva
visto il veicolo sfrecciare via, poi, tutti si erano concentrati sulla
propria sopravvivenza. Lizzie poteva ringraziare, tra l’altro il suo
addestramento nei Marines per essersela saputa cavare, ma quello era stato
solo l’inizio di due giorni da incubo e non è affatto sicura che il peggio
sia finito.
Brooklyn Heights,
Brooklyn, New York. Ore 10:30 del mattino. Ora della Costa
Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno. L’uomo di
nome Steve Rogers guarda il panorama infernale fuori dalla finestra. Anche
questa crisi passerà, pensa, deve passare. Il male, alla fine non potrà
prevalere. La sua fede incrollabile nel trionfo finale della giustizia l’ha
sempre sorretto sin dai giorni in cui indossava un costume per essere il
simbolo dei valori in cui crede e, forse, ha impedito che lui stesso
cadesse preda della follia imperante. Ora quei giorni sono dietro le sue
spalle, un altro incarna i valori del Sogno ed è giusto così, il mondo
appartiene sempre alle giovani generazioni. Eppure, non occorre indossare
un costume speciale per essere un eroe, basta solo fare il proprio dovere,
agire in nome di ciò che è giusto. Questo è ciò che lui ha sempre fatto e
non smetterà mai.
1.
Estratto dal volume “Memorie di un
eroe, ovvero: Le avventure del razzo umano”
Salve, mi chiamo Richard
Rider, sono uno studente del college e lavoro part-time al Marvel Burger,
una catena poco nota di fast food. Vi chiederete cosa abbia a che fare io
con Capitan America? Bella domanda!
Beh, la storia è un po’
complessa ma cercherò di farla breve. Mmm… ma da dove comincio? Ah già, un
motto giornalistico sintetizza il tutto in quattro parole: chi, deve, come,
quando!
Chi sono ve l’ho già detto,
anche se mi sono scordato di fare una precisazione importante la mia vita
non è solo quella studentesca, attualmente coltivo un hobby piuttosto
particolare… faccio il supereroe. E’ un hobby che richiede molte energie,
ma per un primo centurione di Xandar[4] non è poi così difficile, tuttavia,
pur bazzicando nell’ambiente per un bel po’ di tempo, non come i veterani
certo, ma comunque, per un bel po’ di tempo - non sono ancora riuscito a
sfondare. Il mio nome di battaglia? Ebbene si, anch’io ho un nome di
battaglia…
Nova.
Certo è un hobby direte voi, però alla
fine spesso gli hobby ricalcano precisamente cosa si vorrebbe da fare nella
vita, beh, almeno questo è il mio caso. Ma sto divagando e non è un bene.
Dove ero rimasto?
Ah già: chi, e lo abbiamo chiarito,
quindi è meglio passare al dove… Nei cieli di New York, più precisamente
Manhattan. E qui me la sono cavata in maniera rapida.
Come? E qui è il grosso del problema,
vediamo di riassumere: io ero appena uscito da uno scontro con una cosa
che, solo dopo, scoprirò essere un demone, uno dei peggiori a dirla tutta!
Ma allora ero piuttosto frastornato e confuso. Lo scontro mi aveva proprio
scombussolato soprattutto perché il demone aveva giocato sporco, molto
sporco, ma questa è un'altra storia.[5] Io in ogni modo sfrecciavo per i
cieli di New York mentre una nuvola oscura stava coprendo l’intera città,
stavo ancora cercando di capire in cosa mi ero imbattuto quando lo vedo.
Impavido e temerario, ora lo posso dire
senza problemi, ma allora era difficile ammetterlo a me stesso. Certo lui
non ha bisogno della mia ammirazione, non ha mai avuto bisogno
dell’ammirazione di nessuno, in fin dei conti, lui era Capitan America.
Tuttavia, all’epoca io ero giovane ed
invidioso, oltre che particolarmente insicuro. Lo sono tutti i ragazzi, ma
anche questo era una cosa che solo il tempo e tanti sbagli mi avrebbe
insegnato. Io comunque lo vidi e feci la cosa più stupida che uno stupido
ragazzino poteva fare… peccare di presunzione! Ma continuo a tergiversare,
colpa dell’età, suppongo. Vediamo cosa mi manca ancora… ah sì.
Quando? Le cronache lo ricordano in tanti
modi differenti, i giornalisti ci sono andati a nozze col caos di quel
breve, ma intenso, evento; i più ora lo ricordano con un nome semplice,
quasi uno slogan, Inferno2. Un brutto momento quello,
l’intero mondo in subbuglio e non per una qualche invasione di alieni, ne
per qualche folle piano di conquistare il mondo. No, in quella occasione ci
trovammo ad affrontare il Male con la M maiuscola. Ma anche questa storia
esula dal mio racconto. L’unico vero motivo che, dopo tanti anni, mi
spingere a ripercorrere quell’età d’oro è il peso che quel particolare
incontro ha avuto per me: una lezione di stupidità e coraggio, di invidia e
di valore. Ora basta però, questo vecchio ha veramente esagerato è ora di
raccontarvi tutto, basta divagazioni o interruzioni. Questo è l’incontro di
due eroi, molto diversi eppure assai simili.
New York. Ore 12 Ora della Costa Orientale. Terzo giorno dell’Inferno. Il tuo nome è Capitan America e la tua
sanità mentale è stata messa a dura prova negli ultimi due giorni. Sotto la
maschera del simbolo del Sogno Americano, non c’è il veterano guerriero
temprato dal fuoco della Seconda Guerra Mondiale, ma solo un ragazzo ancora
ai primi passi e che dubita sempre più di essere all’altezza di coloro che
credono in lui. Quel ragazzo sei tu: Jeff Mace. Tuo nonno paterno ed il tuo
prozio materno sono stati Capitan America prima di te, nei lontani anni 40
e ti hanno trasmesso una tradizione a cui tu non sei certo di saper rendere
onore. Ciononostante, non ti sei tirato indietro, anzi, ti sei battuto
contro i demoni che infestano la città e, probabilmente, l’intero, dannato
mondo, senza cedere di un millimetro. Ora, finalmente, ti appresti a dare
il tuo contributo alla battaglia finale. Hai messo da parte le
preoccupazioni per tuo padre ferito; per tua madre, che, a quanto pare, non
ha retto alla pressione di questi tempi cupi; per una sorella scomparsa e
ti appresti a compiere sino in fondo il tuo dovere. Sei spaventato, non
puoi negarlo, ma, come direbbe Steve Rogers: “La sola cosa di cui bisogna
realmente avere paura è la paura stessa” e, così, fai quello che devi fare.
Questo, almeno sino all’arrivo di un’imprevista interruzione.
Estratto dal volume
“Memorie di un eroe, ovvero: Le avventure del razzo umano”
Lo vedo sbucare da un vicolo a
piedi. Ho passato tre giorni di
follia per le strade di New York. Ormai la situazione mi è chiara, un qualche tipo
di follia sta dilagando per le strade di New York, entrambi ci stiamo
dirigendo verso l’unico posto dove è possibile organizzare una difesa per
la città, il posto dove tutti gli eroi con un po’ di buon senso si possono
dirigere ora come ora: il quartier generale dei Vendicatori. Convinto di
ciò, agisco fulmineamente e, senza pensarci un attimo, mi butto in picchiata
per afferrare Cap e dargli un passaggio espresso verso la base dei
Vendicatori.
Un grave errore in una situazione simile,
ma come al solito me ne riesco a capacitare solo in ritardo. Pur volando io
ad alta velocità, i sensi di Cap avvertono il mio repentino arrivo e lui, mosso dall’istinto, appronta un’appropriata
accoglienza. Non faccio in tempo ad afferrarlo e a sollevarlo da terra che
lui ha già lanciato il suo scudo in aria. Lo scudo, quasi avesse una vita
propria, compie un ampio semicerchio e mi colpisce violentemente alle
costole. Teoricamente dovrei resistere a simili sconti, tuttavia la
precisione del lancio e la complessità della manovra che stavo effettuando
mi fanno perdere la presa su Cap. La forza dell’urto mi scaraventa contro
il muro di mattoni di un palazzo, tuttavia Cap piomba nel vuoto e mentre lo
vedo precipitare penso inorridito, ma anche con una punta di soddisfazione
che non aveva poi calcolato così bene il suo colpo.
2.
New York. Ore 12.01 Ora della Costa
Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno.
Il tuo nome è Capitan America, sei il simbolo del sogno americano,
ma ora come ora desidereresti essere un’altra persona e soprattutto in un
altro posto.
Ti sei ritrovato improvvisamente a decine di metri dal suolo ed ora
implacabilmente stai cadendo verso terra. Potresti darti per vinto, ma hai
fatto tuo un nome importante e, nel bene e nel male, devi portargli fede…
Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero:
Le avventure del razzo umano”
Capitan America è spacciato! Ed è colpa mia!!! Neanche viaggiando
alla massima velocità che mi è consentita potrei acciuffarlo prima che si
schianti a terra o che la brusca decelerazione lo uccida.
Tuttavia, contrariamente a quanto ho pensato, quest’ultimo mi
sorprende. Invece
di lasciarsi prendere dal panico Capitan America esegue una manovra
spettacolare! Si posiziona in maniera tale da avere un profilo tale da
aumentare il suo attrito con l’aria, con una manovra simile a quella che
fanno i paracadutisti durante la discesa in caduta libera. Approfittando
dell’altezza a cui l’ho portato compie una specie di planata, sembra quasi
nuotare nell’aria. E si lancia in un vicolo formato da vari palazzi
popolari. Io lo inseguo a massima velocità, ben conscio però di non essere
in grado di arrivare in tempo per salvarlo, tuttavia, riesco ad assistere
al suo incredibile atterraggio. Volutamente si è gettato dentro il vicolo.
Una selva di fili per stendere la biancheria è stesa tra le due pareti
degli edifici popolari. Ne afferra uno ed il filo si spezza sotto l’enorme
forza che esercita a causa della velocità di caduta, ma immediatamente Cap
ne afferra un altro che a sua volta si rompe. E così vari fili si spezzano,
mentre lui perde velocità, ma è ancora troppo veloce ed il suolo è ormai a
pochi metri, quasi non ho la forza di tenere gli occhi aperti e guardare.
Ma Capitan America non si da per vinto! Con una torsione del busto ruota su
se stesso e scalcia contro una parete con la forza di un toro. La sua
caduta improvvisamente si interrompe e Cap schizza dentro una finestra che
va in frantumi. Sento il rumore del corpo di Cap che rotola per la stanza
all’interno dell’edificio.
Poi il silenzio.
Mi sporgo per vedere la situazione
dentro. La stanza, in cui si è catapultato Cap, è un campo di battaglia. Il
vecchio soldato è ancora vivo e sta già cercando di rimettersi in piedi. Lo
lascio riprendersi con calma e vado a recuperare il suo scudo, qualche
isolato più in là. Mi riaffaccio alla finestra poco dopo Capitan America è
nuovamente in piedi, mi guarda torvo. Io, da vero idiota, gli porgo lo
scudo a stelle e strisce, lui lo afferra e…
Un posto segreto da qualche parte negli Stati
Uniti, probabilmente. Ore 12:10 Ora
della Costa Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno. La donna indossa una
versione particolare di quello che è il tradizionale costume del Barone
Zemo. Di fatto è una specie di guepiere violetta con guanti e stivali neri
ed una cintura gialla in vita. La metà superiore del volto è coperta da una
maschera simile a quella solitamente indossata da Zemo, ma lascia scoperte
le labbra, piegate in un crudele sorriso. Si fa chiamare la Baronessa, ma
se dietro quella maschera ci sia o no Heike, moglie di Helmut XIII Barone
Zemo, questo è ancora un segreto ben custodito. Entra in quella che è
chiaramente una cella dove, legata ad una parete, con manette di solido
acciaio che le stringono i polsi e le caviglie, sta una giovane donna dai
lunghi capelli rossi ed occhi azzurri, che fissano la Baronessa come se
volessero fulminarla.
-Buongiorno
Miss Riordan.- dice la Baronessa, con tono irridente –Spero che abbia
gradito la mia ospitalità.-
-Non
sono stata molto in grado di apprezzarla...- replica Dallas Riordan -… ma,
se fossi libera, potrei manifestare meglio il mio apprezzamento.-
La Baronessa fa un risolino divertito:
-Se
è solo questo …- dice –… possiamo rimediare anche subito.-
Così dicendo, aziona un comando sulla
parete accanto a lei e le manette si aprono. Mentre si massaggia i polsi
intorpiditi, Dallas si chiede a che gioco stia giocando la sua carceriera.
Se davvero è chi sospetta che sia, quali sono i suoi scopi?
-Su,
attaccami, donna, che aspetti?- incalza la Baronessa.
Dallas non se lo fa ripetere e
scatta verso l’altra donna vibrandole un colpo di karate, che l’altra
riesce a parare facilmente.
-Non
male, le dice, ma puoi fare di meglio, lo so, dimostramelo!-
E comincia uno scontro fatto di
agilità, di finte, di parate, di calci e pugni e colpi di taglio, che le
due donne si scambiano senza esclusione di colpi. Dallas Riordan dimostra
un’abilità guerriera, decisamente insolita in chi, prima di cadere in
disgrazia in seguito alla rivelazione che gli osannati Thunderbolts erano,
in realtà i Signori del Male ed il loro capo non era il nipote
dell’Originale Citizen V, ma il Barone Zemo, figlio di uno dei più
pericolosi criminali nazisti,[6] era la quieta
Addetta Stampa del Sindaco di New York. La rossa ex funzionaria dimostra
una capacità nel combattimento corpo a corpo, che rivela un addestramento
professionale in tale campo. A quanto pare, ciò non sorprende affatto la
misteriosa Baronessa, che, anzi, sembra sapere molti segreti della sua
avversaria. Alla fine, che sia perché le capacità della Baronessa sono
obiettivamente superiori alle sue, o perché lei è stanca e provata dalla
prigionia, ma è Dallas Riordan a perdere ed a ritrovarsi a terra, con le
ginocchia della sua avversaria contro il petto e la sua mano destra sulla
gola.
-Come
vedi, stupida cagna, ti sono superiore, come, del resto, era indubbio.- le
dice, con tono sprezzante la Baronessa
-Se
vuoi uccidermi, fallo, dunque…- ribatte Dallas -…ma risparmiami i tuoi
sproloqui da cattiva da pulp!-
-Ancora
arrogante? Molto bene, sarà un piacere ancora maggiore spezzarti.
Ucciderti, dicevi? Oh no, se avessi voluto farlo, l’avrei fatto in
occasione del nostro primo incontro. No, Dallas Riordan, tu vivrai per
vedere il tuo nome sprofondare nel fango e solo allora, potrò decidere di
ucciderti, ma tutto a suo tempo, tutto a suo tempo. La pazienza è una virtù
che porta sempre buoni frutti.-
Mentre le guardie della
Baronessa la rimettono in piedi, per riammanettarla alla parete, Dallas
pensa alle parole della sua avversaria. Dunque, aveva ragione sull’identità
della Baronessa e crede anche di capire, sia pure solo in parte, le sue
motivazioni, il perché l’ha così platealmente liberata dalla prigione.
Accada quel che accada, il suo problema è uscire da lì, possibilmente viva
ed in buona salute Non può sperare di ricevere aiuto, o si? Forse suo… il
suo avvocato, John Watkins potrà aiutarlo. Per quanto disprezzi quell’uomo
per ciò che a fatto a lei ed alla sua famiglia, lui ed il suo gruppo sono
l’unica sua possibilità, ora, sempre che siano in grado di rintracciarla,
il che, a pensarci bene, non è affatto certo.
Harlem, New York. Ore 12:20 Ora
della Costa Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno. Negli ultimi
due giorni, Sam Wilson, alias Falcon ha dimostrato un’attitudine sempre più
violenta ed egoista. Ha oscillato tra il pensare solo a se stesso,
infischiandosene di quanto avveniva nella città e lo sfogare tutta la
rabbia repressa in anni di frustranti lotte a criminali, che riuscivano
sempre a passare tra le maglie di una giustizia inefficiente e di
altrettanto frustranti scontri quotidiani con le inefficienze del sistema
di sicurezza sociale. Poveri i criminali ed i demoni che gli hanno
attraversato la strada, perché lui non ha avuto pietà.. Falcon sa bene cosa
sta succedendogli: sta ritornando la personalità di “Snap”, il piccolo
delinquente che divenne quando, dopo la morte violenta della madre, decise
di voltare le spalle ai valori che i suoi genitori gli avevano insegnato,
lasciò anche l’Università e saltò dall’altra parte della barricata.[7] Fu solo qualche anno dopo che,
grazie al bizzarro concorso delle macchinazioni del Teschio Rosso e
l’incontro con l’originale Capitan America,[8]
il vero Sam Wilson tornò a galla e si rifece una vita come supereroe e come
assistente sociale. Si, Falcon sa che “Snap” è tornato, ma non potrebbe
importargliene di meno. Eccolo di fronte al portone di un Night Club di
Harlem, un posto come tanti, sembra, ma lui sa che, in realtà, è il
quartier generale dell’uomo che tiene in mano il racket dello spaccio di
droga, del gioco d’azzardo e della prostituzione nel quartiere nero: Paul
Hadley Morgan Jr. Falcon non ha mandati od altre garanzie legali, mentre
abbatte a calci la porta, ma se ne infischia e si sbarazza dei due
scagnozzi mandati a fermarlo, per poi dirigersi verso l’ufficio privato
dell’uomo che cerca. Morgan Jr. è fisicamente diverso dal padre, che era
basso e grasso, lui, invece, è un uomo alto e snello, con una vaga
rassomiglianza con l’attore afroamericano Eriq LaSalle
-Falcon!- esclama
–Che cosa vuoi?-
-Una cosa molto
semplice.- risponde l’altro –Farti a pezzi, come ti meriti.-
-Dovresti fare come
gli altri eroi e combattere quei demoni che infestano la città e tutto il
dannato mondo.- ribatte Morgan Jr. –Io non conto molto ora, anche i miei
affari stanno andando a rotoli.-
Falcon lo afferra per il bavero
e replica con tono rabbioso:
-Che gli altri
facciano pure gli eroi, non m’interessa; io penso ai miei affari e quando
ti avrò fatto mordere la polvere, tutti gli altri vermi sapranno che non si
scherza con me.-
Così dicendo, lo trascina fuori
dal locale e, quindi, spicca il volo portandoselo dietro.
New York. Ore 12:30 Ora della Costa
Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno.
Il tuo nome è Capitan America, dovresti essere l’incarnazione degli
ideali americani, un esempio per una nazione che, per molti versi è alla
deriva tuttavia…
Tuttavia sei riuscito miracolosamente a salvarti da un salto nel
vuoto e, poco dopo esserti ripreso, ti ritrovi davanti l’idiota causa di
tutto. L’idiota è così Idiota, che, con aria ebete, ti porge il tuo fidato
scudo, che si deve essere premurato di recuperare.
Non sai chi è quel tipo o perché ti abbia attaccato poco fa, ma sai
bene cosa devi fare in questi casi: non appena quello ti passa lo scudo,
gli sferri un potente diretto, che lo sbilancia, mandandolo a finire sul
pavimento.
A volte ti stupisci di come gesti così semplici siano così
liberatori!
-Ehi, ma che
diavolo…- esclama quello e tu non gli dai tregua. Da quanto hai visto, è in
grado di volare come se fosse una specie di razzo umano e, di certo, ha
qualche genere di superforza. Se è così, devi, a tutti costi, approfittare
del vantaggio di operare in un ambiente chiuso, dove lui non ha grandi
spazi di manovra, così, usi il tuo scudo facendolo rimbalzare per tutta la
stanza e colpendolo ripetutamente, impedendogli di reagire efficacemente.
-Un momento Cap.-
cerca di dire il tuo avversario –Non so cosa ti sei messo in testa, ma io
sono Nova e,… -
Nova? Adesso ricordi dove
l’avevi già visto prima. È un supereroe anche lui, uno di quelli meno noti,
un membro fondatore dei New Warriors. Forse hai fatto la figura dello
stupido stavolta.
Nova sottoscriverebbe quel
pensi, a parte il passaggio sull’essere un supereroe poco noto, ma, in
questo momento ciò che conta per lui sono solo la sua rabbia e la sua
frustrazione, l’amarezza, il senso d’inadeguatezza che l’hanno sempre
accompagnato anche dopo aver ricevuto i suoi straordinari poteri e, così,
decide di sfogare la sua rabbia sull’oggetto più vicino: tu.
-Adesso basta!- grida
–Sono stufo di cercare di fare del bene e prenderle in continuazione,
adesso ti darò una lezione che non dimenticherai facilmente!-
Si getta verso di a tutta carica
e tu riesci solo ad alzare lo scudo a tua protezione. Smorzi l’impatto nei
tuoi confronti, ma l’energia cinetica vi spinge entrambi oltre la finestra,
nel vuoto sottostante.
-Oh no!- esclama Nova
–Non ancora!-
Magnifico, pensi tu, dov’è uno
come Falcon quando servirebbe?
3.
Harlem, New York. Ore 12:35 Ora
della Costa Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno. Falcon ha
trascinato Morgan Jr. in strada ed ha preso a picchiarlo in maniera
selvaggia
-Tu e quelli come te
credete di tenere in pugno la città, vero?- esclama rabbioso –Beh, ora ti
mostrerò che comanda veramente qui. Io sono migliore di voi, mi senti, sono
il più in gamba di tutti e tu sei solo feccia per me, mi hai capito? Mi
senti rifiuto umano?-
-Non può sentirti Sam,
è svenuto ormai, lo sta ammazzando di botte.-
A parlare è stata una donna e
Sam Wilson la riconosce subito: è sua sorella Sarah, con suo figlio Jody
Casper e, accanto a loro, con sul viso e gli abiti i segni di scontri
fisici, ma su cui spicca un colletto da prete, il Reverendo Garcia, colui
che ha sostituito da anni il padre di Falcon alla guida spirituale della
comunità.
-Non t’impicciare
Sarah.- ribatte, con voce dura, Falcon –Questo verme si merita di peggio ed
io glielo sto dando. Quanto a te, prete, non pensare di potermi fare uno
dei tuoi noiosi sermoni sul bene ed il male. Conosco già la differenza.-
-Davvero Sam?-
interviene Sarah -È per questo che da due giorni ci hai abbandonato? Che
torni a casa solo per riposarti? Per questo batti le strade picchiando
chiunque non ti piaccia? Cosa pensi che direbbe nostro padre?-
-NON…NOMINARLO
MAI PIÙ!- urla Falcon –Lui è morto porgendo l’altra guancia, beh, io non
sarò così stupido.-
-Ma
sentiti.- incalza la sorella –A quanto pare, è davvero impossibile
ragionare con te, “Snap”.-
Al suono del suo vecchio
nomignolo, Falcon si ammutolisce. È davvero questo che è? Ma certo che è
così, sta di nuovo percorrendo i vecchi sentieri e quanto tempo passerà
prima che pensi che picchiare i criminali non è abbastanza soddisfacente,
quando passerà all’omicidio? Quanto ci vorrà prima che comprenda che è più
redditizio usare i suoi poteri per fare soldi, piuttosto che per
raddrizzare torti? Maledizione! Lui non è “Snap”, non lo è mai stato,
“Snap” era solo una maschera che aveva indossato per sfuggire a se stesso,
per non pensare ai sogni che aveva infranto. Se percorrerà ancora quel
sentiero insudicerà la memoria di suo padre e deluderà i suoi familiari e
Steve, il primo ad avere ancora fiducia in lui.
Vuole davvero farlo? No che non vuole e lo
sa.-
Si sfila la maschera e guarda
negli occhi i tre davanti a se.
-Io
non sono “Snap”- proclama –Sono Sam Wilson, l’avevo dimenticato, ma non lo
scorderò ancora.-
-Oh
Sam, grazie al cielo.- esclama Sarah e lo abbraccia –Non sai che incubo
sono stati questi due giorni, anch’io mi sono sentita come se la sanità
mentale mi stesse sfuggendo.-
-Ma
hai resistito meglio di me, noi Wilson siamo dei veri duri.- risponde Sam
abbozzando un sorriso,
-Mi
secca interromperti, ragazzo.- interviene il reverendo Garcia -…ma
l’emergenza non è ancora finita e sembra che molti eroi in costume si
stiano radunando per affrontarla.-
-Ho
capito.- replica Falcon infilandosi, di nuovo, la maschera –Vado a fare il
mio dovere allora.- Si volge verso i familiari. Non occorrono parole per
capirsi. L’eroe dispiega le ali e spicca il volo.
Sulla strada sta, ancora
svenuto, un uomo che non dimenticherà tanto presto questo giorno e le
conseguenze si vedranno presto.
Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero:
Le avventure del razzo umano”
Penso che uno dei miei peggiori difetti sia quello di
essere troppo impulsivo.
Intontito ed incalzato dai colpi di Cap, riesco
unicamente a fare una cosa: contrattaccare a testa bassa.
E qui, concedetemi una piccola parentesi. I tempi sono cambiati e,
forse, i lettori più giovani non ne saranno a conoscenza, ma, nel
cosiddetto mondo dei supereroi, scene simili sono tristemente all’ordine
del giorno. Soprattutto in situazioni di caos generale. Gli eroi si
incontrano ed invece di collaborare, come, in fondo, ci si dovrebbe
aspettare si mettono a darsele di
santa ragione.
In gergo tecnico vengono definite: scazzottate tra
eroi.
La situazione totalmente irrazionale per un osservatore esterno, ma
quasi scontata per tutti gli “operatori del settore”, ha destato tanto
stupore che è stata oggetto di studi scientifici. In fondo, non c’è da stupirsene:
i fenomeni strani ed improbabili attraggono gli scienziati come il miele
con le api. So di sfociare quasi nell’aneddotico, ma ricordo ancora con
quale stupore ricevetti la notizia che uno scienziato si era adoperato per
studiare il raccapricciante fenomeno dei pilucchi che si formano
all’interno dell’ombelico! Ad onore di questo esimio studioso bisogna dire
che la sua ricerca ha dato i suoi frutti, infatti riuscì a dimostrare come
la struttura dei peli intorno all’ombelico umano sembra convogliare tutti i
piccoli rimasugli di pelle e le fibre dei vestiti proprio verso l’ombelico,
creando proprio lì un agglomerato sempre più grosso.
Tornando a noi, dopo anni di studi un’equipe di
studiosi, di non so quale università ha stabilito più o meno quanto segue.
Abitualmente il “supereroe” è un solitario e non è predisposto mentalmente
alla collaborazione. Ogni intromissione nel proprio spazio personale viene
considerato dal subconscio come una minaccia; il supereroe, infatti, è
sempre sul chi vive, pronto ad affrontare un avversario. In tale
situazione, l’ingresso di un soggetto non ostile, ma potenzialmente tale,
fa scattare il meccanismo di autodifesa.. ed ecco la rissa!
Io, personalmente, mi sono fatto una mia teoria
ritengo che, in un mondo di eroi prevalentemente maschile la “scazzottata”
sia il nostro primitivo mezzo di stringere un saldo rapporto di fiducia
reciproca. Abitudine rozza, certamente, ma, per quanto mi riguarda, è stata
fonte di ottime amicizie che sono perdurate nel tempo.
Ma lasciamo stare la dietrologia! L’unico fatto che
conta, in fin dei conti, è che la scazzottata era iniziata ed ormai nulla
poteva interromperla fino a che non si fosse arrivati al giusto epilogo.
4.
New York. Ore 12:45 Ora della Costa
Orientale. Terzo giorno dell’Inferno. Un'altra caduta ed un altro salvataggio
in extremis, sta diventando un’abitudine, sembra . Ti afferri all’asta di
una bandiera, fai una capriola e,
mentre ti prepari per affrontare nuovamente il tuo avversario, senti un
grido.
Senza neanche pensarci, ti metti a correre nella
direzione da dove è pervenuto lo strillo. La scena oramai ti è familiare:
varie persone possedute, “demonizzate”, stanno inseguendo una famiglia di
orientali. Lanci lo scudo davanti a te, tagliando la strada al gruppo degli
inseguitori e, così facendo, riesci ad ottenere la loro completa
attenzione. Questo permette alla famiglia di guadagnare terreno ma tu ti
ritrovi circondato da una dozzina di “demoni”. Ti attaccano all’unisono, tu
ti divincoli, ne atterri due, schivi l’attacco di altri tre e, nel mentre,
riesci ad afferrare lo scudo che, come un boomerang, è tornato a te. Lo
scontro è impari, ma la tua tecnica ed i tuoi lunghi allenamenti ti
permettono di affrontarli comodamente. Tuttavia non sei ancora in grado di
trovarti in due posti contemporaneamente. Infatti, mentre stendi, con un
colpo dello scudo, un nuovo attaccante, con la coda dell’occhio vedi in
lontananza la famiglia nuovamente circondata. Meni fendenti rabbiosi, e
atterri più avversari, ma non riesci a liberarti dal loro accerchiamento.
Ciò nonostante, ti sforzi di fare il miracolo, ma dentro di te sai che non
hai il dono dell’ubiquità. Tutto sembra perso quando…
Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero:
Le avventure del razzo umano”
Sento il grido un attimo prima di buttarmi nella
mischia tra Capitan America e gli indemoniati e capisco subito perché Cap
sta lottando come un forsennato. La famiglia di orientali è pericolosamente
minacciata da un nuovo gruppo degli indemoniati.
Ma quanti ce ne sono a New York?
Anch’io tuttavia sono troppo lontano da loro per evitare il peggio.
Poi l’illuminazione… a situazione estreme, estremi rimedi! In una frazione
di secondo accelero ad una velocità supersonica. Il bang supersonico
provoca un’onda d’urto tremenda. I vetri di tutte le finestre dell’isolato
esplodono all’unisono. Ma è un altro effetto collaterale che mi permette di
salvare la situazione. L’onda d’urto provoca un tale contraccolpo
nell’aria, che lo shock ai timpani provoca lo svenimento di tutti i presenti.
La famiglia orientale forse non mi ringrazierà al suo risveglio,ma
sono riuscito ad evitare il loro linciaggio. Per sicurezza, comunque, la
trasporto su di un tetto vicino. Da lì vedo con stupore che, per la strada,
il Capitano, ancora in piedi a fatica, sta legando gli indemoniati con
mezzi di fortuna.
Ed è proprio lì, su di un anonimo tetto di Manhattan, mentre guardo
ammirato Capitan America continuare nella sua opera, capisco il vero
significato della parola eroe,
Il Capitano non è come molti di noi, dotati di poteri eccezionali.
Lui non può volare, non può sparare raggi dagli occhi o sollevare un
palazzo come fosse una piuma. Tuttavia non si tira indietro, fa il suo
dovere seguendo il suo codice morale. Lui non gioca a fare l’eroe, è un
eroe… diversamente da me.
Ormai da troppo tempo il mio scopo primario non era quello di fare
del bene per il prossimo, ma semplicemente essere un eroe. Ho cercato in
tutte le maniere la stima ed il rispetto degli altri, ma la cosa in se non
aveva valore. Volevo essere un Vendicatore e solo ora, guardando un uomo
vestito come una bandiera, un uomo che aveva già tutto quello che io volevo
avere, mi sono reso conto che a lui non interessava affatto. Non gli era
mai importato e non gli sarebbe mai importato.
A volte si imparano le importanti lezioni semplicemente guardando
gli altri, a volte facendo con loro a cazzotti!
New York. Ore 12:40 Ora della Costa
Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno. Ogni passo è
una sofferenza, ogni tuo gesto minaccia di farti perdere l’equilibrio
precario. Eppure, inaspettatamente, la famiglia orientale è salva e nessuno
si è fatto male seriamente.
La tattica di Nova è stata estrema, ti fischieranno le orecchie per
un bel po’, ma degli innocenti sono stati salvati e questo, in fin dei
conti, è l’unica cosa importante.
Stretto l’ultimo nodo, utilizzi una scala antincendio per salire
sul tetto, dove, come avevi già visto, Nova ti sta aspettando. Alzi la mano
in segno di pace.
-Che ne dici di una
tregua?- chiedi
-Ok! Fa lui, gli
scontri tra supereroi sono così demodé.-
Sorridi e rispondi:
-Scusami se non ti ho
riconosciuto subito, ma sono ancora nuovo dell’ambiente.-
-Oh beh…- replica
Nova -…nemmeno io sono stato molto sveglio. Avevo completamente dimenticato
che tu sei un rimpiaz… cioè… voglio dire… scusami, a volte dico delle
sciocchezze, beh mio padre direbbe che le dico spesso.-
-Non importa,
davvero. Anche io mi sento un rimpiazzo non all’altezza
dell’originale. E… non sei l’unico con un padre esigente, fidati.-
Nova ride, sfogando finalmente la tensione fin ora
accumulata. Si massaggia il mento e replica:.-
-Beh, se può
consolarti, hai un destro mica male e con quello scudo sei un drago. Ho
conosciuto l’altro Cap e, credimi, tu sei un degno sostituto.-
-Grazie.- dici
ringalluzzito, poi ti viene in mente una cosa. –Adesso che ci siamo
chiariti, cosa facciamo?-
-Beh, quando ti ho
visto, prima, avevo pensato che ti stessi dirigendo al QG dei Vendicatori
per il raduno degli eroi.- risponde Nova
Raduno degli eroi? In effetti ci
avevi pensato, ma sarebbe giusto presentarsi dai Vendicatori? Non sei certo
sicuro di essere alla loro altezza, anche se indossi il costume di Capitan
America e come ti accoglieranno? Vorresti sentirti davvero sicuro, ma in
cuor tuo sai che non hai scelta. Hai optato per la via del dovere e devi
percorrerla sino in fondo.
-Ehi gente, piacere
di vedervi. -
È Falcon, che plana sul tetto ad
aver parlato. I saluti e le spiegazioni prendono pochi minuti e poi è
l’eroe di Harlem a prendere in mano le redini della situazione.
-Mi sembra chiaro che
il centro della crisi sia a Greenwich Village e non possiamo starcene qui a
non far niente, è arrivato il momento di fare la nostra parte.-
Tu vorresti dire qualcosa, ma,
improvvisamente i tuoi lineamenti assumono un espressione a metà tra lo
stupito e l’intimorito, mentre una voce alle spalle dei tuoi compagni
esclama con voce vagamente metallica, filtrata da un microfono:
-Falcon!
Nova!-
È Iron Man e tu senti che la tua carriera
di leggenda vivente è arrivata ad una svolta.-[9]
6.
Ospedale Navale di Bethesda, Maryland. Ore 13:05
del mattino. Ora della Costa Orientale.
Terzo giorno dell’Inferno. Jeffrey William Mace Sr., detto familiarmente Will, ha avuto
giorni migliori. Non capita molto spesso di rientrare a casa e di vedersi
sparare dalla propria moglie completamente fuori di testa. Per sua fortuna,
Dorothy non è mai stata brava con le armi e non l’ha ferito gravemente,
dandogli il tempo di disarmarla e stordirla, chiamando aiuto prima di
svenire. Il suo alto grado di funzionario del Dipartimento di Stato e di ex
ufficiale dei Marines gli ha consentito di avere una stanza privata sia per
lui, che per la moglie con molta discrezione, Non male, considerata la
pazzia che regna sovrana ultimamente. Quando questa follia finirà, e deve
finire, spera che sua moglie torni alla normalità. Purtroppo non è la sua
unica preoccupazione. Dalle poche notizie che arrivano, il mondo è nel caos
e gli eroi fanno la loro parte, tra quegli eroi, c’è anche suo figlio, Capitan
America, e lui non può non sentirsi preoccupato per lui, per non parlare
del resto della famiglia, come sua figlia Lizzie, ora di fronte a lei
-Sono contenta di
vederti meglio, papà.- sta dicendo lei
-Noi Mace siamo di
pelle dura, lo sai.- replica lui, cercando di sembrare indifferente
-Lo so, lo so.-
-Notizie da…fuori?-
-Se parli di Jeff,
beh lui fa quello per cui l’avete addestrato l’eroe ed il simbolo vivente.-
-La scelta è stata
sua Lizzie, tu sai…-
-Lo so.- replica lei
con voce indurita –Un Capitan America donna è impensabile, l’hai sempre
detto. E perché poi? Io sono più in gamba e più motivata di lui. La verità
è che tu sei fissato con questa storia del figlio maschio e...-
-Lizzie, ti prego…-
La ragazza si ferma, Che sto
dicendo? Pensa, mio padre sta male ed io sfogo i mie meschini rancori, che
razza di donna sono?
-Io…non so che mi ha
preso, scusa. È quest’atmosfera, quest’oscurità incombente, sembra tirar
fuori il peggio di noi.-
-Non devi scusarti.
Sai? Forse hai ragione ed io sono solo un ostinato retrogrado.-
Lizzie sorride e gli prende la
mano
-Forse, ma sei il mio
ostinato retrogrado e ti voglio bene.-
Rimangono silenziosi, per un
po’, poi lei dice:
-Vado a sentire come
sta la mamma.
Esce nel corridoio e, contravvenendo
ai regolamenti, accende il cellulare e compone un numero che conosce a
memoria. Non ha parlato a suo padre della scomparsa della sua sorella
minore, ma deve confessare a se stessa di essere veramente preoccupata.
Dall’apparecchio vengono solo squilli e nessuna risposta. Lizzie lo sente:
a Roberta è successo qualcosa, ma cosa? E dov’è adesso?
New York. Ore 13:10 Ora della Costa
Orientale. Terzo giorno
dell’Inferno. Sono stati
due giorni duri per tutti, ma John Watkins li ha passati pensando ad una giovane
donna dai capelli rossi. A qualunque costo, troverò Dallas Riordan e la
salverà. Glielo deve. Per anni ha ignorato i suoi doveri nei confronti di
quella ragazza, ma, quando l’attuale crisi sarà finita, niente gli impedirà
si rimediare ai suoi errori e sa anche a chi chiedere aiuto, per questo.
EPILOGO
Estratto dal volume “Memorie di un eroe, ovvero: Le avventure del
razzo umano”
E questo è tutto. Penso di aver
imparato molte cose da quell’incontro scontro, ma la storia continua ed a
volte in modi imprevedibili… però, per ripetere le immortali parole di non
ricordo bene chi: “Questa è un’altra storia.”[10]
Estratto col permesso
dell’autore e dell’editore da “Memorie di un eroe – ovvero- Le avventure
del razzo umano” di Marv Wolfman. Il presente volume è basato sulle
registrazioni effettuate da Richard Rider durante la sua esperienza di
“super eroe”.
Finito
di stampare nel mese di gennaio 2022
presso MARVEL Associated Press
Printed in Canada
FINE SECONDA PARTE
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